Di Gianmaria Tesei Si è tenuta, giorno 15 dicembre, con grande successo la seconda edizione di quello che è già diventato l’evento d’esaltazione dell’effervescenza enoica che promana dalle produzioni di quel meraviglioso terroir creatore di fulgenti nettari d’uva qual è il “Mongibello”, ossia l’Etna. Il bellissimo palazzo Biscari di Catania , dimora nobiliare secentesca che si staglia nel centro storico catanese affacciandosi sugli archi della marina che un tempo erano costeggiati dai flutti salini dello Ionio, ha fatto da accogliente ed affascinante cornice ad una kermesse che si è imperniata su un prodotto che non è sempre stato dignificato dell’ adeguata attenzione, pur avendo l’Etna una tradizione di spumanti principiata già con il Barone Felice Spitaleri di Muglia che, nel 1870, segnò le prime e più pregiate produzioni di champagne d’Italia, con le uve Pinot nero, dalla cui spumantizzazione si originò lo Champagne Etna (di fatto il proto-spumante siculo), ricevendo premi anche oltralpe ed in tutto il mondo, aprendo un percorso ripreso con successo sul terminare degli anni Ottanta del secolo scorso dalla cantina Murgo, che adoperò per prima il nerello mascalese per lo spumante. “ L’evento dedicato alle bollicine del vulcano più alto d'Europa”, come è stato giustamente definito dal suo creatore Francesco Chittari( che si è giovato del patrocino della Strada del Vino, della collaborazione di Bibenda e Fondazione Italiana Sommelier, del sostegno di slow food Catania e dell’organizzazione affidata all’agenzia Scirocco ) ha teso a magnificare un segmento di mercato non ancora solcato dal grande pubblico eppur contraddistinto da grandi potenzialità e destinato a disvelare con sempre maggiore vigore tutte le sue peculiarità d’eccellenza nel corso dei prossimi anni. L’evoluzione incrementale, già in atto, ha il portato dell’attività di ben 16 produttori che immetteranno sul mercato nei prossimi 24 mesi( e nelle migliori enoteche italiane e non solo) l’equivalente di 3000 ettolitri di sparkling wine made in Etna, ovverosia la bellezza di 400 mila bottiglie, con un volume d’affari che , considerando l’attualità , si attesta sui 3 milioni di euro. Il processo di innovazione verso la valorizzazione dello spumante è stato portato avanti con ingenti investimenti. Ed i capitali utilizzati sono andati ed andranno a sovvenzionare le strutture confacenti ad una produzione che richiede particolari e precipue capacità conoscitive nonché imprenditoriali in un settore che può e deve colorarsi sempre più delle tinte gustative dei prodotti etnei ( che inoltre prevedono un affinamento sui lieviti di 36 mesi -puntando addirittura ai 60 mesi- anziché i soli 18 previsti dal disciplinare di produzione ). E l’apporto investimentale e di sinergia tra i produttori e con le istituzioni ed il territorio può portare a confrontarsi con prodotti rinomati quali “Trentodoc”, “OltrePo pavese” o “Franciacorta , come detto da Chittari. Lo stesso Chittari ha voluto enfatizzare come non si sia ancora creata la corretta liason tra i vini del vulcano attivo più grande d’Europa e la città che insiste alle sue pendici (cosa ribadita anche dal sindaco di Catania Salvo Pogliese, che auspica un collegamento sempre più forte tra il vino etneo e Catania), se non, da poco tempo, per quanto attiene all’Etna rosso e, da ancor meno, i bianchi, rosè e spumanti. E se la prerogativa della scorsa edizione era proprio portare l’Etna a Catania, quella di quest’anno è la possibilità di pensare ad una Dop sullo spumante etneo per tre motivi: i prodotti enoici effervescenti sull ‘Etna hanno una storia antica (dal 1870); lo spumante può divenire la “terza gamba” dopo l’Etna rosso ed il bianco della produzione; ed infine entro il 2021 saranno 20 le case produttrici, fatto che cristallizza la crescita del settore . Queste ed altre tematiche sono state affrontate nella sessione d’approfondimento intitolata “Dal terroir al vino: Il valore del territorio nella produzione degli spumanti”, moderata dalla giornalista Letizia Carrara con gli interventi di: Paolo Di Caro, presidente siciliano di Fondazione Italiana Sommelier, relativamente alla tematica dell’importanza del territorio negli spumanti; il docente di Fondazione Italiana Sommelier e tra i più importanti esperti dello Champagne in Italia, Manlio Giustiniani; Gina Russo, presidentessa di Strada del vino dell’ Etna ed il presidente del Consorzio di Tutela dei vini Etna doc, Antonio Benanti. Gina Russo (anche produttrice con Cantine Russo, brand i cui studi sullo spumante sono cominciati nel 2002, con la prima produzione di vino mosso del 2010) ha affermato come essendo lo spumante un prodotto di nicchia, va realizzato in modo ottimo, perché non è trainante per il settore ma dà lustro ai produttori ed al territorio. Antonio Benanti ha sostenuto come attualmente l’Etna rosso rappresenti il 63-64% della produzione etnea (prima era quasi il 90%); il bianco, in crescita , costituisca il 27-29% ed il residuale in percentuale sia fatto di rosè fermo e spumante, per cui occorre aumentare il volume produttivo di quest’ultima voce. Lo stesso Benanti ha affermato che il fatto che l’Etna sia di moda, può essere pericoloso, augurandosi invece che il fenomeno vino Etna (fermo e non) divenga un classico, affermando inoltre con forza la necessità di utilizzare per la denominazione più vitigni, per legare il prodotto alle sfumature del territorio e trasfondere il territorio in un calice di vino, con le tipicità e le varietà autoctone che il mercato chiede. Varietà che consentono di liberare così le potenzialità di qualsivoglia vitigno (carricante e tanti altri), escludendo forse il moscato per motivi pedoclimatici, grazie al particolare terreno ed all’unico terroir etneo. Terroir che, come evidenziato dallo champagne specialist Giustiniani è fatto di un insieme particolare di territorio, suolo, sottosuolo, clima ed esposizione, elementi che proprio sul “Mongibello” sono unici ed irripetibili e che donano un’inconfondibile (ed irreplicabile altrove) mineralità, freschezza ed acidità. Mentre lo champagne ha un volume produttivo di 300 -320 milioni di bottiglie l’anno che costituiscono il 10% del totale mondiale dei vini effervescenti, quello etneo( che adotta prevalentemente il metodo classico) , per crescere deve affidarsi a moda, marketing ed eccellenza, per colmare il gap di terreni vitati e numero di produttori ( 15.000 ettari e 4600 etichette dello champagne contro i 970 ettari circa e 16 produttori di vino mousseux su 160 complessivi etnei). Gustosissimi banchi di assaggi hanno concluso (dalle 19 e 30) la manifestazione che ha goduto anche delle eccellenze del cibo del territorio offerte da 12 giovani chef della costa Jonica, che hanno informato le loro creazioni al tema del “Gattopardo” e dello sviluppo di crescita gastronomica che ha attraversato il comparto eno-culinario siciliano nel corso dei secoli, con le varie dominazioni che hanno segnato profondamente ogni aspetto della vita dell’isola sicula.
0 Comments
Leave a Reply. |
AutoreCarlotta Bonadonna Archivi
Dicembre 2023
Categorie:
|