Tra i 5 finalisti all'Etnabook festival 2019, Sezione: un racconto in una pagina Come ogni mattina camminavo lungo le siepi di quel giardino tanto amato e nello stesso tempo tanto odiato. Conoscevo ogni foglia, petalo caduto, ogni fiore lo chiamavo per nome. C’erano dei cespugli che paragonavo alle mie vecchie zie, guardandoli mi venivano in mente le loro teste ricoperte da acconciature tremende, sempre spettinate, poco curate e in alcuni punti stempiate. Cespugli una volta in fiore, forse come erano loro, ma oggi da quando il signor Luigi, guardiano della villa, non abitava più erano in uno stato di assoluto abbandono. Da quando il signor Luigi è andato via il giardino della mia casa- prigione non è più lo stesso. Da anni non esco più di casa, l’unica libertà che mi prendo è gironzolare tra gli alberi e le aiuole del parco. E’ immenso, in alcuni angoli è baciato dal sole, dove amo sdraiarmi sul prato e leggere un buon libro. Ci sono fiori che tratto come figli e che curo con amore e passione tutti i giorni. Dopo la morte di mio padre da circa 2 anni non esco più di casa, lo so, è strano ma proprio non ci riesco, sono bloccata, intimorita dal mondo fuori. Mamma mia una volta ero una grande viaggiatrice, non mi fermava nessuno, questa casa praticamente non la conoscevo, non sapevo nemmeno che ci fossero così tanti fiori e verde. A volte mi costringevo a rimanere un po’ con la mia famiglia. Oggi invece, sono sempre tra le mura di casa o meglio ingabbiata tra i cancelli del giardino. In questi due anni mi sono innamorata di ogni germoglio e bocciolo che con amore innaffio e coccolo ogni giorno. A parte le zie, i cespugli dietro casa, che proprio non riesco a guardare, adoro ogni vicolo e pietra. Ci sono zone meno curate, abbandonate perché erano le aree di mio padre, dove si dedicava al giardinaggio e alla pittura e che ancora non riesco a rivivere. Ma ieri è successo qualcosa di strano, come prima accennato, … ogni mattina camminavo lungo le siepi di quel giardino tanto amato… quando un profumo nuovo, inebriante e pungente mi ha completamente rapita anzi stordita. Porca miseria, come sotto l’effetto di uno stupefacente mi sentivo drogata da quell’ondata di freschezza che sembrava dovesse spaccarmi le narici. Ho lasciato i miei soliti pensieri sulle zie spettinate e con un po’ di paura ho seguito quel profumo. Più andavo avanti e più mi rendevo conto che mi avvicinavo alle zone inesplorate che erano di mio padre, a quello spazio che io chiamavo “oltre la memoria”. Mi manca mio padre e non sono ancora pronta a ritrovarlo a riviverlo, almeno lo pensavo fino a ieri. Piano piano e con paura mi sono ritrovata davanti ad un vecchio gazebo in ferro, arrugginito e ricoperto di glicini pendenti, viola come la tunica che il prete usa durante la quaresima. Mi sono avvicinata a questo color lutto e man mano che osservavo i fiori la sfumatura abbinata alla morte diventava un colore vivo e vitale. Questi glicini erano bellissimi. C’era un vecchio dondolo sotto il gazebo dove mio padre credo dipingesse. Mi sono seduta e completamente drogata dal profumo dei grappoli dei fiori rivedo mio padre seduto accanto a me a dipingere un mio ritratto mentre io lo fissavo dall’altra parte della tela. All’improvviso un petalo viola mi è caduto sul volto, mi è sembrata come una carezza venuta da un altro mondo, quasi ultraterrena, trascendentale a quello che stava accadendo. Ho sentito improvvisamente la mano di mio padre accarezzarmi il volto. Inutile dirvi che sono scoppiata a piangere, ma un pianto di gioia. Era come se mio padre mi avesse invitato a raggiungerlo in quel posto, a ritrovarlo, a non aver paura di lui. Ero emozionata e scossa e mi era venuta un gran seta, avevo la bocca secca dallo shock. Mi sono guardata intorno e dopo essermi alzata dal dondolo ho cercato come una diseparata qualcosa da bere in quell’angolo dimenticato da tempo. Ma non sarebbe stato possibile trovare se non alcune sue vecchie bottiglie vuote, qualche caraffa di acqua piovana e impolverate lattine di birra. Invece rovistando dentro un vecchio armadietto di legno, ho scoperto una improbabile bottiglia di liquore al mandarino che faceva mio padre. Era chiusa, intatta, sembrava essere lì per me. Un brivido di emozione e incredulità insieme. Era il mio liquore preferito che bevevo sempre con lui. Ho deciso di aprire la bottiglia, un solo sorso mi ha fatto ritornare alla mente le passeggiate con lui nel parco e le chiacchierate sui miei viaggi. Un passato dimenticato, volutamente fossilizzato era di nuovo presente. Ero felice, ero in uno stato di godimento, mi sentivo lentamente ritrovare quella parte di me accantonata, ma qualcosa ha distratto i miei pensieri. Ho visto avvicinarsi in un volo danzante e armonico una farfalla stupenda, mai vista prima. Anche loro le conoscevo tutte, la mia grande passione. Le consideravo come delle amiche, a volte gli raccontavo dei miei amori appassiti come le margherite dell’ingresso vicino al cancello principale. Questa farfalla era ipnotica. Senza rendermene conto la seguivo senza capire dove mi volesse condurre. L’ho rincorsa e siamo arrivate fino all’ingresso del cancello che era aperto. Alla vista dell’uscita mi sono fermata, paralizzata, per la prima volta un dubbio, la voglia forse di oltrepassare quelle ringhiere e riscoprire la vita fuori. La farfalla proprio sulla soglia dell’uscita mi si è delicatamente appoggiata sulla mano, mi guardava come se volesse dirmi “Io devo andare, vieni via con me, esci vola di nuovo nei tuoi viaggi”. E’stata circa un minuto. In quel momento ho capito che dovevo seguirla, continuare il mio volo con lei aldilà del cancello. E così è stato, sono seduta in una splendida spiaggia in una incantevole isoletta greca, sorseggio un profumato bicchiere di liquore al mandarino e ritraggo mio padre guardando una sua vecchia foto mentre dipingeva sotto la cascata di glicini del suo amatissimo gazebo.
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AutoreNata Libera Archivi
Giugno 2020
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