Il calendario culturale italiano a Barcellona per il 2024 inizia con un omaggio alla letteratura e al cinema: il film che narra la vita del sommo poeta Dante Alighieri, interpretato da Sergio Castellitto e Alessandro Sperduti, arriva oggi al Cinema Verdi con una proiezione speciale organizzata dall'Istituto di cultura italiana di Barcellona e Cinecittà.
L'agenda culturale degli italiani e di tutti gli amanti della cultura italiana ha già un primo appuntamento a Barcellona. Mentre si preparano i festeggiamenti dedicati al centenario della nascita di Marcello Mastroianni e del novantesimo compleanno di Sofia Loren, che saranno i protagonisti del 2024, l'Istituto Italiano di Cultura scalda i motori con un omaggio a Dante Alighieri grazie al film "Dante" di un maestro contemporaneo del cinema italiano, Pupi Avati, uno degli autori più prolifici del cinema italiano. Il lungometraggio racconta i capitoli più tormentati e meno conosciuti della vita del poeta, autore della Divina Commedia e considerato il padre della lingua italiana. Avati, con più di cinquant'anni di esperienza dietro la macchina da presa, narra le vicende attraverso gli occhi del poeta Giovanni Boccaccio, che intraprende un viaggio per riabilitare la memoria di Dante e svelare la vita dello scrittore fiorentino, dall'infanzia in solitudine alla morte in esilio. Il regista, sceneggiatore e produttor Pupi Avati ha indagato l'Italia attraverso più di 50 opere per il cinema e la televisione, dai suoi primi film indipendenti alla fine degli anni '60 ai più grandi successi degli ultimi trent'anni, e ha portato sul grande schermo generazioni di attrici e attori italiani popolari nel Paese. "La casa dalle finestre che ridono" (1978), "Regalo di Natale" (1986), "L'amico d'infanzia" (1993), "Il cuore altrove" (2003), "La cena per farli conoscere" "Il padre di Giovanna" (2008), "Lei mi parla ancora" (2021), sono solo alcuni dei titoli che ci ha regalato un'autore che utilizza il linguaggio del cinema per esplorare tutti i generi, dal gotico alla commedia, passando per film horror, thriller, racconti storici e persino drammi romantici. "Nei miei film – ha detto Avati – ho raccontato quanto possa essere eccezionale, persino eroica, la normalità degli esseri umani. Ora invece ho provato a dire che per quanto sublime possa essere il genio, condivide, come chiunque di noi, le ansie che la vita ha in serbo per noi. Poter raccontare Dante Alighieri per la sua umanità è stato il dono che aspettavo da vent'anni". "Dall'Istituto Italiano di Cultura – ha dichiarato la direttrice Annamaria Di Giorgio – siamo molto felici di poter aprire il 2024 celebrando due arti importanti come la letteratura e il cinema, grazie a un regista come Pupi Avati, che è un classico contemporaneo per la nostra cultura. Il regista ha scelto di portare sullo schermo un nuovo punto di vista su Dante Alighieri, di cui spesso si parla senza conoscere veramente l'uomo che c'è dietro l'opera più importante della nostra tradizione: la Divina Commedia. Per me, appena arrivata a Barcellona, è stato un onore accogliere la comunicazione del Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani per presentare questo lavoro al pubblico. Sono sicura che potrà avvicinare ogni tipo di pubblico all'umanità di quello che siamo soliti definire il sommo poeta, la prima grande colonna della letteratura italiana". Il film "Dante", dopo essere stato proiettato al Tokyo International Film Festival e ai festival cinematografici italiani come Los Angeles, Berlino, Nantes e Malaga, arriva per la prima volta in Catalogna. La proiezione speciale avrà luogo oggi al Cinema Parco Verdi, organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura di Barcellona e Cinecittà con il sostegno del Consolato Generale d'Italia a Barcellona. Interpretato tra gli altri da Sergio Castellitto, Alessandro Sperduti, Carlotta Gamba, Enrico Lo Verso e Alessandro Haber, il film sarà presentato al pubblico di Barcellona attraverso "Dante nel cinema", un'introduzione del professor Raffaele Pinto, docente di Filologia italiana all'Università di Barcellona e coordinatore del Seminario Internazionale di Studi Danteschi (SISD). La proiezione sarà in versione originale con sottotitoli in spagnolo. In questa intervista esclusiva con Simona Malato, talentuosa attrice siciliana che ha conquistato il cuore del pubblico con la sua intensa interpretazione in due film di grande successo: "Stranizza d'Amuri" di Giuseppe Fiorello e "Misericordia" di Emma Dante, entrambi presentati alla prestigiosa Mostra del Cinema Italiano di Barcellona lo scorso dicembre, mi sono addentrata nel suo mondo, esplorando la sua vita, la sua carriera e in particolare i retroscena della realizzazione di questi due progetti forti e significativi. Entrambi affrontano tematiche socialmente importanti e toccanti, regalandoci una prospettiva profonda sulla realtà e sulla condizione umana. Ho cercato di scoprire i dettagli della lavorazione di "Stranizza d'Amuri" e "Misericordia", esplorando il processo creativo di Simona nel dare vita ai suoi personaggi. Attraverso le sue parole, avrete l'opportunità di comprendere le sfide e le emozioni che ha affrontato, nonché il suo impegno nello studio dei ruoli, contribuendo così a rendere questi film autentiche opere cinematografiche. Un viaggio attraverso la passione, l'impegno artistico e la profondità emotiva di Simona Malato vi attende. Accendete la vostra curiosità e immergetevi nell'universo artistico di questa interessante attrice siciliana. Il successo di “Stranizza d’Amuri” di Giuseppe Fiorello e “Misericordia” di Emma Dante anche in Spagna a Barcellona che cosa ha voluto dire per te e che emozioni ti ha provocato? “Quando ho ricevuto l’invito per la partecipazione al festival di Barcellona, nell’oggetto della mail era stato nominato solo Misericordia, in comune accordo con Emma Dante che non sarebbe potuta essere presente, abbiamo deciso che sarei stata solo io a presentare il film. Quella fu una prima bellissima notizia poi però continuando a leggere la convocazione mi sono resa conto che anche Stranizza d’amuri era stato selezionato per l’evento…. e a quel punto ovviamente sono saltata sulla sedia perchè sono 2 film che amo tantissimo, sono vicinissimi tra loro, ho lavorato quasi contemporaneamente a entrambi; infatti mentre giravo Stranizza, lavoravo gia’ al personaggio di Betta del film di Emma. Con lei è stato un lavoro lunghissimo, perchè dovevamo farsì che funzionasse quello che aveva prefigurato per me, perchè questo personaggio lo aveva scritto pensando a me, ma Emma non lascia nulla al caso, quindi dovevamo passare dal quel corridoio stretto di confronto con Simone Zambelli e con le altre attrici. Doveva creare quel nucleo familiare come se lo era immaginato, doveva vederci insieme. Per cui ritornando alla domanda, posso dire che entrambi i film per mia fortuna sono 2 progetti che sono stati 2 famiglie, sono 2 lavori che hanno toccato il mio cuore. Questo perché abbiamo lavorato in entrambi i set con la finalità di creare un spazio di grande cura reciproca, familiare e confidenziale, e probabilmente anche per i temi che abbiamo trattato. Sia Beppe che Emma sono 2 registi che in diverso modo vogliono toccare il cuore e sensibilità dello spettatore ma prima ancora vogliono attraversare questa sensibilità nella carne degli attori e di tutta la troupe. In entrambi i progetti non c’è stata differenza tra cast artistico e tecnico. E’ stato un grande lavoro collettivo e di creazione con 2 grandi capitani di 2 navi che salpavano verso 2 grandi avventure; Lo scopo di tutti era quella di portare a casa un’opera umana sia per i contenuti trattati che per l’energia che scorreva tra di noi. Per cui io mi sento molto onorata di rappresentare questi 2 film, perche l’onore proviene proprio dal fatto che rappresento in entrambi i casi il lavoro di tutti i miei compagni. Ho accettato inoltre di essere qui a Barcellona perchè ho dato l’anima in tutte e 2 le vicende, nel senso che i 2 lungometraggi non sono stati solo dei lavori fini a se stessi ma progetti che mi rispecchiano; quindi solo qui a portare queste 2 storie quasi come se fossero i miei figli, accompagnandoli e vedendoli con il pubblico”. Come vivi l’esperienza di condividere una proiezione cinematografica insieme al pubblico in sala? “Vedere il film in sala con il pubblico è un’esperienza profonda e intensa. Con i ragazzi nelle scuole è un momento empatico fortissimo, loro esultano e vivono in maniera intensa le storie, per esempio quando Lina parla con Gianni con violenza, l’hanno insultata o quando i du protagonisti si sono baciati c’è stato quasi un urlo da stadio. Il cinema deve fare questo, deve smuovere il pubblico”. 2-3 momenti fondamentali sia personali che professionali che hanno cambiato la tua carriera di attrice. “Un momento importante è stata la crisi con i miei genitori quando ho deciso di lasciare l’università e fare teatro. Studiavo psicologia ma mi sono laureata solo in un secondo momento perché inizialmente ho lasciato il percorso accademico a 6 esami prima della laurea. Ho abbandonato gli studi nonostante fossi alla fine perchè mi ero infilata in un progetto teatrale per me molto scioccante e decisivo. Si trattava di un lavoro di Claudio Collovà regista di Palermo, che considero il mio primo maestro, che all’epoca lavorava al Malaspina con i ragazzi del carcere minorile. Io ero ancora un’ allieva che entravo in un cast di attori già professionisti di alto livello come Filippo Timi per cui mi rapportavo con persone che mi hanno insegnato molto. Eravamo un grande cast, un insieme di energie differenti, un lavoro collettivo, facevamo quello che per me è il teatro: nessuno insegnava a qualcuno ma ognuno imparava dall’altro. Tra attori e i ragazzi del carcere c’è stato uno scambio di insegnamenti. Il teatro deve essere un apprendimento continuo. Emma Dante è stato un altro incontro importante nel mio cammino, mi ha portato fuori da Palermo. All’epoca facevo “Palermu”, un suo primo spettacolo in tour per l’Europa. Essere in giro per il mondo, fare di continuo lo stesso spettacolo e cambiare pubblico e’ stata una formazione e un master continuo, ho imparato moltissimo. Altro momento decisivo è stato l’incontro con il regista e drammaturgo polacco Krystian Lupa; per me è stata una folgorazione, mi ha rivoltato come un calzino. Ero arrivata a un momento un po’ di stasi in cui le cose le fai quasi in maniera automatica, ad un periodo di crisi. Lui è arrivato al momento giusto, sono rinata. Vorrei inoltre citare un altro progetto che è stato determinante nella mia vita: il collettivo femminile nato 12 anni fa di cui faccio parte. Siamo un gruppo di 19 attrici dirette da Letizia Quintavalle, regista di teatro dell’infanzia da 30 anni. Ognuna di noi lavora nella propria regione e raccontiamo ai bambini dagli 8 ai 12 anni l’Antigone”. Cos’è per te il teatro? “Per me il teatro è un apprendimento continuo, il lavoro del teatro è un dono, un arricchimento in divenire, mi sento fortunata e lo vivo con meraviglia. La compassione e la gratitudine sono fondamentali in questo mestiere. Il personaggio di Lina di Stranizza mi ha insegnato molto. Nasco come attrice di teatro quasi autodidatta, non ho avuto una formazione accademica. La mia prima esperienza con Claudio Collovà mi ha insegnato che dovevo trovare i miei maestri da sola, cercavo nel cast le persone con cui volevo lavorare. A 25 anni ho iniziato a fare danza classica perchè dovevo lavorare sul mio corpo con disciplina e regole; questa auto formazione è stata un momento importante per quello che sono oggi. A 23 anni, quando è iniziato tutto, mi chiedevo che stessi facendo. Mi sentivo una ladra perchè volevo fare la psicoterapeuta e all’improvviso invece ho deciso di fare l’attrice, mi sembrava ormai tardi e non avevo nessuna formazione accademica. Soffrivo molto e sentivo che c’era qualcosa che potevo fare e dare ma non trovavo la mia strada. Avevo molta confusione ma questa è stata sempre la mia forza. Quando non c’è questo disordine, questo senso di non avere il pavimento sotto i piedi, se non c’è questa inquietudine nel mio mestiere, lavoro male, cerco spesso di mettermi in difficoltà. Credo sia una cosa inconscia, quando un progetto mi risulta facile, mi viene male. Il lavoro dell’attore ognuno se lo deve inventare, non c’è un unico modo sebbene ci siano delle tecniche e abbia dei miei registri, ma “ i muri alti”, le difficoltà mi piacciono”. Parlami del tuo personaggio Lina “Lina l’ho capita subito, nel mio approccio al personaggio dialogando con il regista Beppe Fiorello non abbiamo parlato molto, perchè lui già mi aveva scelto sapendo che io dovevo essere Lina, era sicuro di questa mia interpretazione; e in realtà non aveva sbagliato perché ho intuito subito cosa voleva questa donna da me, mi ha parlato immediatamente e molto chiaramente dicendomi “o mi fai cosi o non mi puoi fare”. Sono arrivata a lei, mi sono avvicinata al suo essere conoscendo Samuele, il ragazzo che ha interpretato Gianni. Nutrendomi di lui, di questo giovane attore, ho trovato i modi in cui Lina poteva parlare con questo suo figlio. Poi durante lo studio del personaggio ad un certo punto mi sono arrivate in aiuto delle donne della mia infanzia, che mi incuriosivano molto quando ero piccola. Mi tornavano in mente, mi arrivavano dei ricordi dall’infanzia e delle immagini di come erano. C’è quindi sicuramente qualcosa di mio in Lina che è generazionale ma non diretto”. Le tue figlie ti aiutano nell’interpretare il ruolo di una mamma? “Si certo mi aiuta molto essere mamma, in questo caso però si trattava di essere madre di un ragazzo, era tutta un’invenzione. Quindi ho creato una relazione speciale grazie al rapporto che si è creato con Samuele”. Lina è un personaggio cosi’ contradditorio e duro che si può addirittura odiare, entrano però in gioco diverse parti molte diverse tra loro, me ne puoi parlare? “Lei è una donna con i suoi problemi e vive male nella sua comunità, ha infatti il peso della vergogna di non essere sposata. Ho lavorato sul sentimento di essere impetuosi verso se stessi. E’ una mamma molto dura e severa. Forse la sua anima leggera, di bambina arriva solo nel momento in cui immagina che qualcosa possa cambiare nel futuro, ma questo sentimento viene subito modificato dal suo essere senza pietà verso se stessa. Come tutti quei genitori che proiettano sui figli la propria vita, Lina fa la stessa con Gianni, forse se avesse abitato in una città e non nella sua stretta realtà sarebbe scappata via con Samuele. Non avrebbe mai urlato al mondo siamo fatti così, ma lì non poteva scappare, non credeva nel cambiamento. Il personaggio lo interrompo, Lina è costruita a metà, è come se non vivesse fino in fondo tutto, vorrebbe fare ma non ci riesce e non lo fa. La prima scena che ho girato è stata quella della telefonata che Lina fa alla mamma dell’altro ragazzo, una scena che non avevo capito bene in fase di lettura della sceneggiatura, non sapevo fino a dove doveva spingersi lo script. Quella mancanza di parole nel testo e dell’ interlocutore dall’altra parte del telefono (ovviamente recitavo non parlavo realmente con nessuno) mi ha fatto pensare alla vita spezzata di Lina. Questo è stato il battesimo del mio personaggio. In questa scena viene fuori tutta la cattiveria di Lina ma anche la sua frustrazione, il suo essere sempre a metà e la sua vita non compiuta. “Tuo figlio ha tutta la vita davanti, Gianni è com’è…..” in quel momento Lina proietta sul figlio come si sente lei: Una vita spezzata”. Come ti sei approcciata e hai interpretato una donna realmente esistita protagonista di un fatto terribile e delicato realmente accaduto? “Tutto il cast ha avuto rispetto per questa storia vera e mi sono chiesta "come la faccio questa donna se non mi torturo un po’?" Ho sofferto per cercare di capire questo fatto terribile, per rispettare una persona vera che ha vissuto una storia così complessa e delicata; non oso immaginare come Lina abbia vissuto il resto della sua vita; anche se faccio l’attrice e cerco di essere vicina alla verità non si può avere la pretesa di sentire cosa provasse una donna in una situazione del genere”. C’è stata una scena particolarmente complicata in Stranizza? “Si, la scena della telefonata come già ti ho spiegato. Ma alla fine mi sono buttata ed è uscito quello che ho raccontato. Nella scena del ballo con Samuele invece stavo male fisicamente e fuori pioveva, ma nonostante tutto è venuta fuori una grande scena d’amore tra una madre e un figlio”. Cosa rappresenta e che peso ha oggi Stranizza d’Amuri ? “Ha un valore universale, è una storia che non ha tempo e spazio. Questa cosa l’abbiamo percepita con il pubblico durante il tour. Tante le reazioni di chi ha visto il film che mi hanno fatto riflettere sulla forza universale del film, una spettatrice per esempio fuori dal cinema mi ha detto: “Ma lei facendo questo personaggio ha rovinato tutti i sacrifici che un madre di un omosessuale fa per accettare il proprio figlio”; questa cosa mi ha colpito molto, così come la risposta di tanti ragazzi omosessuali ma anche etero che hanno fatto fatica ad accettare la storia. Questo perchè il film parla del problema in generale della non accettazione della diversità, tema centrale del film. La diversità e l’incapacità di accettare chi è diverso da te non solo come singolo individuo ma come comunità è il cuore della storia. La cosa violenta è che questi i ragazzi sono stati assassinati da tutto il paese, purtroppo è così. Ciò che è successo a Giarre negli anni’ 80 succede in tutto il mondo ancora oggi”. Partendo dal tema della diversità vorrei collegarmi a Misericordia. Film molto forte, violento e duro. Anche qui hai un ruolo difficile e complicato. Chi è Betta, come sei diventata lei? Anche qui sei una specie di mamma difficile. “Betta è una madre che da sola non andrebbe da nessuna parte, si ritrova a fare la mamma insieme alle altre 2 prostitute. Tra le 3 lei è la figura materna di quello strano nucleo familiare”. E’ una donna sbrigativa, d’istinto e dura”. Quale delle 2 sceneggiature ti ha colpito di piu’? “In realtà non riesco a fare un paragone tra le 2 storie, non c’è un di più perché appartengono a 2 mondi completamente diversi, non c’è stata una che ha superato l’altra. Tra i 2 personaggi però sicuramente ho amato tantissimo Betta. E’ una donna che è rimasta bambina, molto vicina alla sua parte infantile però sa anche che deve sopravvivere, “deve “magna’”, sa quanto è dura la vita. Nello stesso tempo è inoltre un personaggio ironico, fa il minimo indispensabile per arrivare a fine giornata, quando può scappa dai suoi compiti. E’ ovviamente una donna lontana da me però di mio c’è il suo aspetto maniacale per l’ordine e per la precisione sebbene viva in una catapecchia”. Perchè il titolo Misericordia? “La misericordia è qualcosa che ha a che fare molto con l’essere umano. È accoglimento e prendersi in cura un altro, quasi un portarsi addosso un’altra persona, è qualcosa fatta per l’altro senza un contraccambio. E’ un atto di dare senza ricevere. Rappresentiamo con la nostra misericordia la salvezza di Arturo, il figlio quasi adottivo che vive una situazione di ritardo mentale, centro intorno al quale gira la storia”. Voi vi salvate da questa crudele realtà? “C’è qualcosa di animalesco in questi personaggi, loro in qualche modo si salveranno sempre, sono donne pronte a tutto e capaci di cavarsela anche se la montagna dove vivono, da una parte madre e casa che le protegge, dovesse cadergli addosso e trasformarsi invece in mamma cattiva e mortale". Ambienti animaleschi e forti, crudi e veri, che legame hanno con i personaggi della storia? “Abbiamo girato a monte Cofano vicino San Vito lo capo. E’ una riserva naturale dove le falesie si staccano davvero, è un promontorio enorme sul mare, un posto mostruosamente affascinante. E’ un dio, un luogo spirituale. E’ una natura sia cruda che magnanima, è come una lingua di terra- madre che li accoglie con le sue baracche e nello stesso momento luogo di morte. La montagna è come una quarta madre dura e cattiva. Per contagio quindi i personaggi hanno preso il selvaggio di questo posto. Tutto è animalesco e inaccettabile, tutti sono ridotti ad uno stato quasi primitivo. Ma questo stato “naturale” in cui vivono è forse il migliore per Arturo. Qui voglio citare Emma Dante secondo la quale la montagna degradata è il luogo più giusto per il protagonista, lui va via per essere mandato in un istituto per avere una vita più dignitosa ma in realtà sta bene in quello spazio sospeso perché lui è mare, montagna, è un tutt’uno con l’ambiente. E’ un ragazzo disabile che vive in maniera naturale la sua diversità”. Qual è la forza di questo film che lo hanno reso quello che è? “E’ un grumo che si scioglie. Questo film pretende tanto dallo spettatore, gli chiede di prenderselo il grumo, di viverlo, di stare male. Soltanto con la presa di coscienza di questo nodo alla fine chi guarda la storia potrà sciogliere questa dura matassa e capirla. E’ un film molto difficile per il pubblico, devi cadere in quel selvaggio e stare anche male per capire e amare Misericordia”. Può essere un insegnamento Misericordia? “Non lo so se chiamarlo insegnamento, ma credo che la violenza e il degrado facciano paura, ma in quanto esistono bisogna affrontarli con coraggio per sconfiggerli ed evitarli. Anche il male va vissuto per poter capire la salvezza”. Simona Malato alla Mostra del cinema italiano di BarcellonaIo ancora non posso parlare né di capolavoro, né del ritorno del cinema neorealista italiano, quello autentico, quello degli anni’ 40, quello in bianco e nero, quello fatto di facce che ti lasciavano a bocca aperta e che ti spiazzavano per la durezza dei loro tratti; non posso dirvi cosa penso del fenomeno “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi perché in Spagna non ho avuto ancora la possibilità vederlo. Ma sicuramente da quello che ho letto, da tutto quello che si racconta posso solo dire che finalmente dopo tanti anni abbiamo in Italia un film di un’ attrice e regista italiana che sembra aver messo tutti d’accordo. Da nord a sud, critica e pubblico, signori e signore hanno accolto con entusiasmo un prodotto cinematografico molto coraggioso, firmato da una donna, un’artista conosciuta soprattutto per i suoi ruoli comici. Dagli esordi a oggi ha solo confezionato successi, una garanzia per i registi che l’hanno diretta, che da poco ha fatto l’en plein passando alla regia e il suo debutto è stato straordinario. In pochissimo tempo la forza emotiva e artistica di questa storia ha fatto breccia nei cuori e nel pensiero critico del popolo e degli addetti ai lavori. Probabilmente nessuno si aspettava un successo così “Oltre” ma la Cortellesi ha battuto ogni record al botteghino: 7 milioni d’incassi fino ad oggi. E’ già il migliore risultato italiano del 2023 e uno dei più alti degli ultimi anni. In 12 giorniIil film è stato visto da più di un milione di spettatori, sale piene e sold out nelle proiezioni accompagnate dalla presenza della Cortellesi. Alla festa del cinema di Roma ha vinto tre premi: quello del pubblico, della giuria e miglior opera prima. Neorealismo rosa o no, di cui tanto si parla, c’è sicuramente un richiamo al quel neorealismo “romano”, a quello di una capitale popolare e povera che a fatica usciva dalla guerra e dall’occupazione nazista. C’è il fascino e il retrò del bianco e nero che la stessa regista afferma non essere una scelta stilistica ma per lo più legata a un ricordo emotivo, alle narrazioni e storie di quel periodo raccontate dalle sue nonne. Paola sceglie quindi le sfumature delle emozioni, vuole arrivare al cuore del pubblico provocando sensazioni e far riflettere sulle condizioni delle donne che come allora e purtroppo ancora oggi vivono e sono vittime del maschilismo, violenza e di non amore. Dalla Gialappas’ bans, Mia dire goal, Zelig, Nessuno mi può giudicare, solo per nominare alcuni dei suoi grandi successi, dalla sua confort zone quindi e dalla commedia di cui è maestra, arriva al suo primo ruolo drammatico per la televisione con lo sceneggiato su Maria Montessori, ed qui che si mostra al grande pubblico in una veste nuova, il dramma. Con “C’e ancora domani” la Cortellesi riesce a creare un clima tragicomico, dolce- amaro, bianco e nero, in cui non tradisce se stessa e rimane fedele al suo stile. Questo probabilmente è uno degli ingredienti del successo del suo film. Il suo mondo artistico e la sua cifra stilistica la rendono credibile e la fanno arrivare agli spettatori che sorridono e piangono insieme a Delia, ironicamente tragica.
...e mi viene in mente una frase di Italo Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, perché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Al via i Casting, anche a Catania, per “Miopia”, un nuovo film con Nino Frassica e Caterina Murino.11/8/2023 La regione Marche, ospiterà le riprese di una nuova produzione cinematografica, con Nino Frassica e Caterina Murino, le riprese inizieranno a fine gennaio 2024 nelle città di Pesaro e Fano, in location che sono state già definite. Il film sarà diretto dal maestro Rocco Mortelliti, genero dello scrittore siciliano Andrea Camilleri. A rendere possibile questa ennesima avventura cinematografica, di portare i casting pure in Sicilia, è stata la società CinemaSet che, grazie alla sua co-produzione in questo progetto filmico, ha coinvolto i suoi colleghi, a organizzarli pure in Sicilia, precisamente a Catania, città nativa del produttore Antonio Chiaramonte, per valorizzare e dare la possibilità di inserimento a tanti artisti siciliani di poter mostrare il proprio talento. Ecco i requisiti per il casting: - Medico: 40/45 anni - Esmeralda Felice: donna bella presenza 40 anni circa bionda/castana - Moglie politico: donna bella presenza 45 anni circa - Ladro: 25/30 anni - Assistente Magistrato: Donna molto bella 25/30 Saranno presenti al casting di Catania direttamente il regista Rocco Mortelliti, il produttore marchigiano della MovieStart production Roberto Siepi e il produttore esecutivo Mario Cavazzuti. Per partecipare al casting è necessario inviare un’email all’indirizzo castingfilmmiopia@hotmail.com Nell’email dovranno essere indicate: - CV ( comprensivo del numero di telefono per essere ricontattati) - 2 o 3 foto, in cui si veda bene il volto e la figura del candidato/a, senza occhiali da sole e senza cappelli. La produzione provvederà a ricontattare le persone che presentano le caratteristiche ricercate, per fissare un provino. Per chi abita a Catania e Provincia le audizioni si terranno in presenza, mentre per chi abita fuori città e solo ed esclusivamente residente nella Regione Sicilia, la sessione di provini avverrà in videochiamata. c.s Ormai non si sente che parlare del fenomeno Mare fuori. Non solo i più giovani sembrano essere stati catturati dalle storie dei ragazzi dell’IPM di Napoli ma tutte le generazioni appaiono curiose e affascinate da questa serie che è addirittura arrivata Oltreoceano. Alcuni giorni fa parte del cast ha partecipato alla Festa del cinema di Roma registrando il maggior numero di spettatori durante il loro red carpet. Direi un bel risultato, trattandosi di uno dei più ambiti tappeti dei rossi dei festival italiani. Durante l’evento sono stati presentati i primi 2 episodi della 4 stagione. Guardando la loro sfilata, tra fan e stampa mi è caduto l’occhio sull’eleganza e la classe di una delle protagoniste, che in realtà mi ha ricordato una giovane Monica Bellucci per il suo stile e abito. Sto parlando di Giovanna Sannino, ovvero Carmela, personaggio letteralmente esploso nella terza stagione. Giovanna è una figlia d’arte, talentuosa e molto preparata. Non fa segreto che i suoi grandi maestri siano stati proprio i genitori. Un’ attrice dalla formazione teatrale, vicina alla vecchia scuola;un marchio di fabbrica che la rende particolare, elegante e raffinata quasi venisse fuori da un’altra generazione. In Mare fuori è inizialmente una ragazza sempliciotta, della media-bassa Napoli, diventando poi la moglie di uno dei protagonisti, appartenente a una famiglia camorrista. Inevitabilmente “Carmela” cresce e si forma in un ambiente ostile, duro, bigotto, eccessivo e quasi grottesco della Napoli malavitosa. Ma nonostante i suoi vestiti leopardati, gli orecchini pacchiani e il trucco esagerato, Giovanna anche in questa interpretazione- una parte tanto lontano dalla sua realtà-conserva la sua classe innata e si distingue per la sua recitazione e stile teatrale che traspare dietro il dialetto, i pianti e gli sguardi di dolore del suo personaggio. Mai eccessiva, sempre misurata, credibile e vera senza mai cadere nel grottesco e volgare, cosa molto difficile considerando il contesto e ruolo. Cerchiamo di capire meglio come queste 2 “donne” tanto lontane si siano alla fine incontrate. Giovanna, quanto il personaggio di Carmela ti ha cambiato la vita? “Ha cambiato totalmente la mia vita, a livello professionale mi ha fatto cadere, mi ha buttata nel mondo del lavoro. E’ per questo il personaggio al quale sono più legata, mi ha aperto una strada che non è per forza un cammino di opportunità lavorative ma una mentalità, una responsabilità nel mondo del lavoro,con Carmela il cinema è diventato un lavoro reale; a livello umano sono cresciuta,il mio personaggio mi ha fatto crescere molto. “E’ stata una crescita che abbiamo fatto insieme, io e Carmela abbiamo camminato su 2 binari paralleli, incontrandoci però a un certo punto. Siamo infatti cresciute di pari passo, io ho incontrato Carmela a 19 anni e ora ne ho 23. Forse se l’ avessi interpretata quando ero più piccola, quello che è successo nella terza stagione: dolore, tragedie e forza, non sarebbe stata la Carmela di adesso, ovviamente perchè io Giovanna ho ora delle consapevolezze diverse da quelle che avevo prima”. Carmela è un personaggio molto lontano dalla tua personalità, dal tuo essere, come ti sei avvicinata a lei tanto diversa da te? “Ho studiato tanto anche la letteratura che sebbene possa sembrare lontana, in realtà mi ha aperto orizzonti; Ho visto film, letto e sono andata a teatro. Ho rubato da donne più grandi di me che hanno vissuti diversi dal mio, ho cercato di prendere la maternità da mia madre e mia nonna, la sofferenza da chi non ha avuto sempre una vita positiva e fortunata e di prendere i suoni, i rumori e i colori di Napoli e buttarli nel mio personaggio”. Carmela è un personaggio ben costruito, che ad un certo punto cambia. Nel suo sviluppo emergono tante tematiche importanti e si scopre un personaggio complesso. Ci racconti in breve la forza di questa donna? “Da semplice fidanzata incinta di Edoardo, un vero combina guai, man mano viene intrappolata nella criminalità, dalla quale non riesce a venire fuori, la sua non è stata una scelta ma deve accettare questo mondo. Poi il matrimonio che nasce con il piede sbagliato, un figlio non voluto perchè era giovane ma viene amato lo stesso. Con la nascita del bimbo Carmela cambia, cresce, ha responsabilità e diventa una iena perchè deve proteggere suo figlio, se stessa ed Edoardo. Questo è il suo percorso. Vengono fuori tanti temi sociali importanti: tra cui la ribellione alla violenza e l’ amore per la famiglia. Il valore più forte che viene fuori è la resilienza di Carmela. Una donna che perde tutto: la famiglia adottiva, Edoardo, l’orgoglio con Teresa ma nonostante tutto va avanti e combatte. Molte tematiche rendono questo ruolo interessante; la cosa che lo rende più complesso credo non sia il personaggio in se ma la psicologia di questa donna. Il motivo per cui amo Carmela? Mentre ride dentro piange, fuori è una ragazzina dentro una donna forte”. Come ti preparai praticamente per entrare nel ruolo di Carmela? “Parto dalla musica, con una playlist neomelodica, la musica mi ispira, poi cerco di assumere le sembianze di Carmela, per mesi ho portato le unghie come quelle che sarebbero piaciute a lei, compro anche oggetti e accessori che potrebbero essere del mio personaggio. Infine faccio sempre un’ analisi accurata di tutte le situazioni che girano intorno al mio ruolo. Esamino ogni dettaglio”. Cosa hai pensato quando hai letto per la prima volta la sceneggiatura? “Mi sono arrabbiata molto perché Carmela veniva tradita, ho detto- chissà? cosa succederà?- Perché inizialmente era un personaggio dietro le quinte, era ed ero inconsapevole di tutto. “Aspettando questo bambino” mi sono fatta un mio “film”, ho costruito il mio ruolo senza sapere quasi nulla, pensavo che dietro la sua storia ci fosse stato un rifiuto ma non addirittura una violenza. Poi finalmente nella terza serie ci siamo incontrate, siamo diventate amiche, ho scoperto Carmela ed è qui che si dà tutto, scatta l’empatia, la gioia, la sofferenza e il confronto dell’attore che diventa personaggio”. Scene che ti hanno imbarazzato o preoccupato? “La prima scena in assoluto che ho girato in Mare fuori della prima stagione, E’ stata la prima scena di sesso che ho fatto, ero piccola, inesperta, terrorizzata, avevo difficoltà a recitare con tanta gente intorno ma nello stesso tempo avevo voglia di dimostrare che non avevo vergogna e che ero pronta a tutto per fare questo mestiere. Dentro di me volevo morire ma ce l’ho fatta, dovevo,anche Paolillo in mio partner nella serie era molto imbarazzato ma alla fine abbiamo creato la nostra intimità ed abbiamo superato le prime difficoltà. Una scena invece molto complicata a livello recitativo è stata quella in ospedale, quando Edoardo era in coma e mi sono scontrata con Teresa. Un momento molto forte, doloroso e tragico. Ho dovuto fare un viaggio a ritroso nelle mie sofferenze, vomitare le viscere, ho dovuto cercare il dolore che avevo dentro”. Tu vieni dal teatro, e’ il tuo grande amore? prima il teatro e poi il cinema? “Il teatro è il mio grande amore. Però è complesso dire prima il teatro e poi il cinema. “Nel cinema arrivi all’ultimo stadio di un sentimento, lo vivi completamente, puoi vivere ogni sfumatura emotiva, ogni istante, ti ruba ogni tua espressione; a teatro invece il tuo pensiero è trasformato in movimento e voce perchè lo spettatore è lontano da te, quindi è un processo diverso. Il teatro è la mia comfort zone, mi diverto sempre, non ho paura di sbagliare e di sembrare impreparata. Non posso sbagliare come al cinema e questo mi mette adrenalina addosso, a teatro si crea una concezione di respiri tra te e pubblico, se il pubblico ride il respiro è più forte, se il pubblico piange sei più sommesso; è una questione di respiro, di aria che si viene a creare, di calore ed energia che si muove, che crei tu e la risposta del pubblico. Il contatto con chi ci guarda è entusiasmante”. La tua formazione, come arrivi al teatro, sebbene tu sia figlia d’arte? “Proprio tramite i miei genitori, attraverso il loro amore per l’arte. Mi portavano dietro le quinte, quando non potevano lasciarmi a casa, per farmi vivere e respirare d’arte. Imparavo a memoria tutti gli spettacoli, sono cresciuta a pane ed Edoardo de Filippo e Viviani”. I tuoi maestri? “Mia madre e mio padre sono i miei mentori poi sono arrivati altre persone. Un regista e autore Mario Gelardi è stato molto importante, non mi ha dato solo un metodo lavorativo ma tanta stima e sincerità, una cosa che non ho mai trovato, perché il mondo dello spettacolo ti tradisce facilmente”. Cosa bolle in pentola? “Uno spettacolo a teatro che si terrà a Roma a marzo sui desaparecidos e poi lavoreremo alla quinta stagione della serie”. Cosa ti piacerebbe interpretare nel futuro? “Maria Antonietta di Francia senza essere ghigliottinata però!” In conclusione credo che Giovanna Sannino abbia ancora tante sorprese da regalarci e che sia solo all’inizio di una carriera molto promettente e brillante. Foto ufficiali Season FestivalIl successo della serie italiana “Mare fuori” è ormai consolidato ed infine è arrivato anche negli USA diventando “The sea beyond”. Di recente infatti ne è stato annunciato il debutto su un canale televisivo statunitense. Con la traduzione in inglese, i ragazzi del penitenziario minorile più famoso d’Italia stanno quindi per sbarcare oltreoceano. Ma non solo, con il grande successo riscosso e grazie alla sua popolarità, la serie è arrivata anche a teatro, difatti a dicembre partirà un tour italiano del musical “Mare fuori” con la regia di Alessandro Siani e la partecipazione di alcuni tra i protagonisti più amati della serie. In questi giorni inoltre, alla Festa del cinema di Roma, saranno presentate le prime due puntate inedite della stagione n. 4 che andranno in onda nel febbraio 2024. Tra i personaggi che ritroveremo nella 4 stagione e nel musical che debuttera’ a breve in teatro ci sarà anche Milos interpretato dal giovane Antonio D’Aquino. Milos è presente sul set sin dalla prima stagione, sebbene fino alla seconda sia stato soltanto un personaggio più defilato e di contorno. Questo suo stare in disparte in maniera silenziosa ha sicuramente incuriosito il pubblico facendo sorgere delle domande sul perché di quella presenza all’interno del carcere minorile, le quali hanno trovato finalmente risposta nella terza stagione. Proprio durante le puntate in questione abbiamo infatti imparato a scoprire un personaggio piuttosto complesso e con la propria storia e con un passato difficile alle spalle. Antonio D’Aquino è stato presente inoltre tra gli ospiti e i premiati della prima edizione del Season series festival, evento dedicato alle serie tv che si è tenuto in Puglia alcune settimane fa. Andiamo così a scoprire D’Aquino e la sua esperienza nella serie che gli ha totalmente cambiato vita. Quando hai iniziato il tuo percorso nel mondo del cinema e come sei arrivato a Mare Fuori? “Tutto è iniziato quando ero già molto piccolo e amavo andare al cinema. Appena uscivo da una proiezione avevo imparato tutte le battute a memoria del protagonista o del mio personaggio preferito. Quando andavo a teatro, il giorno dopo iniziavo a fare il mio spettacolo in famiglia. Però da bambino ovviamente ancora non ci credevo molto e vedevo il cinema come qualcosa di irraggiungibile. Ho iniziato a lavorare a 14 anni, facendo tutti i lavori possibili. La mattina andavo a scuola e il pomeriggio “a faticà”. Vengo da una famiglia umile, a 18 anni mi sono imbarcato sulla nave con mio padre, abbiamo lavorato alle Bahamas, ci occupavamo degli impianti di aria condizionata. Era un lavoro molto sacrificante che mio padre fa tutt’oggi. Si stava lontani dalla famiglia. La vita mi è cambiata prima di tutto grazie a mio padre che un giorno mi disse <<ti voglio bene, fai nella vita quello che ti rende felice, non fare il mio stesso errore che per questioni puramente economiche ho dovuto pensare solo a lavorare per cercare di mantenere la famiglia.>> A quel punto ho deciso di essere felice ed ho iniziato la scuola di recitazione Ribalta di Castellammare di Stabia, ho frequentato per 5- 6 mesi ma poi purtroppo ho dovuto abbandonare per una questioni di costi, quindi sono tornato a lavorare. Mi ero quasi arreso ma all’improvviso dopo mesi che avevo già abbandonato la scuola, per fortuna mi arriva la telefonata più importante della mia vita, ovvero la proposta per partecipare ai provini di “Mare fuori”: <<Lo vuoi fare?>> Ovviamente dissi di si senza esitare, è stato il primo provino della mia vita, un treno che è passato e ho preso al volo”. Com’è stato quindi questo primo provino della tua vita? “Ero emozionato e contentissimo, ho imparato le mie battute e mi sono lanciato in questa esperienza. Ho ricevuto tanti complimenti ma non avevo idea di cosa mi aspettasse dopo. Per 10 giorni non è arrivata nessuna risposta, poi finalmente la telefonata tanto sperata... Per il ruolo di Edoardo non andavo bene ma mi aspettavano per fare il provino per la parte di Milos... Dopo alcuni giorni sarei dovuto imbarcare di nuovo con mio padre, invece dopo aver superato il provino sono diventato Milos. Descrivere la gioia di quel momento è impossibile, non ho capito nulla della parte burocratica e di tutto quello che mi spiegavano però ero semplicemente felicissimo per essere stato preso nel cast”. Qual è stato l’impatto con il set visto che era la prima esperienza? “Sono stato catapultato improvvisamente nel mondo del cinema, era tutto nuovo. Chiedevo consigli per rubare qualcosa del mestiere dell’attore. Con l’aiuto di tutti, colleghi e attori ho imparato davvero tantissimo. All’inizio è stato difficile, ho dovuto impegnarmi molto poiché era una realtà che fino a poco prima non mi apparteneva e non sapevo come muovermi”. Cosa ti ha segnato di più del tuo personaggio e cosa ti ha insegnato? “Mi ha segnato più di tutto la forza di volontà che caratterizza il mio personaggio, il suo coraggio di non mollare mai. Lui è stato abbandonato dalla famiglia e vive per strada, è uno zingaro ed è gay. Mi ha colpito la sua forza di andare avanti con grande determinazione, è grazie all’amica Luna che cresce, impara a leggere e a scrivere, cambiando totalmente prospettiva. Inoltre protegge le persone che ama con tutto il cuore, è in carcere da innocente proprio per difendere la sua amica". Qual è il messaggio fondamentale di Mare fuori e secondo te per quale motivo ha avuto tanto successo ed è arrivato al cuore di tanti? “Non vedere solo la parte marcia di ogni singola persona ma vedere cosa c’è dietro, capire il perché di certe scelte, non giudicare ma valutare. Questo ha dato speranza a tanti ragazzi che hanno vissuto le nostre stesse storie, ho ricevuto diversi messaggi da tanti giovani che hanno una vita simile a Milos e sono stato felicissimo di sapere che grazie a Mare fuori hanno svoltato e cambiato direzione, riflettendo sulla possibilità di migliorarsi. Siamo stati un esempio di speranza. Grazie anche ai temi che tocchiamo: quotidianità, amicizia, amore e rispetto, siamo arrivati al cuore di tanti. L’ingrediente principale è che siamo giovani ed è proprio la nostra età a dare speranza, siamo noi a raccontare. Un adulto si giudica per quello che ha fatto, a un ragazzo invece si dà la possibilità di salvarsi, non viene giudicato e non si danno colpe anzi ci si chiede perché ha fatto qualcosa di male. Lo spettatore ha empatia con i personaggi, cerca di capirlo. Credo proprio che questo aspetto abbia contribuito specialmente al nostro successo”. Come ti è cambiata la vita? “A livello lavorativo mi sta aprendo porte alle quali prima non potevo accedere. A livello umano mi ha fatto crescere tantissimo ma sono comunque rimasto lo stesso, a questo ci tengo molto. Per me l’umiltà è una grande virtù, rimanere se stessi in un ambiente dove siamo acclamati non è facile. Voglio rimanere l ‘Antonio di sempre". Riuscirai a rimanere con i piedi per terra? “Credo proprio di si, sono stato cresciuto con questi valori e ci proverò. Non sono cambiato finora e non vedo perchè dovrei cambiare in futuro… adesso non voglio affatto montarmi la testa, è una cosa che non serve a nulla”. C’è stata qualche scena più imbarazzante considerando il tuo ruolo da gay o più complessa, visto che eri alla prima esperienza? “All’inizio mi aspettavo questa parte molto difficile, ero preoccupato per la scena del bacio con un altro ragazzo perchè non mi apparteneva, la mia sessualità è diversa. Non sapevo letteralmente come muovermi, cosa fare e come preparami. Tuttavia solo il primo ciak mi è risultato complicato ma poi dopo è andato tutto bene, mi sono totalmente calato nella parte”. Come ti sei preparato a questo ruolo diverso da te? "Ascoltando le persone, con i racconti dei ragazzi che avevano vissuto storie come quella del mio personaggio. Un amico gay in particolare mi ha aiutato, mi ha parlato della sua esperienza. Ho cercato di capire cosa provasse quando baciava il suo fidanzato o in che modo e cosa sentisse quando si innamorava di qualche ragazzo. L’ho ascoltato tanto e mi sono immedesimato, dopo le prime riprese quello che piaceva a Milos piaceva anche a me". C’è qualcuno con cui hai legato di più sul set? " In pratica siamo diventati una grande famiglia, ho legato con tutti. Siamo amici anche fuori dal set, ci frequentiamo e usciamo insieme. Se ti devo dire qualcuno che mi sta più a cuore sicuramente sono Domenico Cuomo e Matteo Paolillo, con i quali viviamo insieme da quando abbiamo cominciato a girare la serie. Poi anche Giovanna Sannino. In generale si sono create relazioni speciali tra tutti, delle amicizie che spero rimarranno per sempre". A cosa stai lavorando ora? " Sono molto contento di essere stato scelto tra i protagonisti del musical Mare Fuori, a novembre inizieremo le prove e a dicembre partirà la tournèe in giro per tutta Italia. Abbiamo concluso di girare da poco la quarta stagione che uscirà a febbraio e la prossima primavera inizieremo a lavorare alla quinta". In conclusione possiamo affermare che Antonio D’Aquino attraverso le sue parole ha dimostrato di avere un carattere semplice, umile e determinato. Un giovane simpatico e vivace che sembra avere le idee molto chiare sia per quanto riguarda il suo passato che sicuramente per ciò che concerne il suo futuro. Foto ufficiali Season festival tvAl Focus sulla Spagna realizzato all’interno della prima edizione del Season series Festival, che si è tenuto in Puglia alcuni giorni fa, è stato presente anche l’attore cubano Harlys Becerra, divenuto popolare a livello internazionale con il ruolo di Valbuena nella prima serie di successo spagnola Vis a Vis. Edita per la prima volta nel 2015 sul canale iberico Antena 3 e poi passata sulle piattaforme streaming. Considerata una serie di spaccatura e spartiacque rispetto al genere spagnolo a cui eravamo abituati, anno dopo anno è arrivata fino al 2020, mantenendo un forte successo. Gli appassionati di Vis a Vis non avranno sicuramente dimenticato tra gli interpreti maschili all’interno del carcere, il controverso e violento capo della sicurezza Valbuena interpretato da Becerra. Personaggio discutibile, dal passato difficile, spietato e duro con un identikit complesso che lascia però trapelare fragilità e una umanità che Becerra ha cercato di spiegarci, dichiarando di non poterlo giudicare come un “cattivo” ma vittima di un contesto piu’ grande e perverso di lui. Harlys puoi raccontarci quanto Vis a Vis abbia cambiato la tua vita? “Il successo della serie è stato improvviso e inaspettato ed ha cambiato totalmente la mia vita sia a livello professionale che personale. Non sapevo e riconoscevo inizialmente il peso del mio personaggio, non immaginavo quanto sarebbe stato complesso vivere con Valbuena. Molti del cast abbiamo capito la forza di Vis a Vis dopo aver visto la prima proiezione, siamo rimasti impressionati. Il mio personaggio mi ha permesso di arrivare nel sistema internazionale, di essere conosciuto da pubblico di tutte le età”. Ci spieghi meglio come sei arrivato al cinema? Quando hai deciso di iniziare questa carriera? “Io sono nato a Cuba, da una famiglia normalissima, il mio sogno era poter andare via dalla mia isola e riscattare alcune mancanze e soprattutto fare cinema e televisione, emozionare la gente, arrivare ai cuori di tutti. Sin da piccolo ho avuto questo sogno e quando guardavo la tv, immaginavo di essere anche io un giorno al posto di chi riusciva ad emozionarmi e divertirmi. La tv e il cinema sono stati per me un modo per uscire dal mio mondo a volte complesso. Da Cuba sono andato a studiare cinema a Londra e poi sono arrivato in Spagna sebbene abbia continuato ad alternarmi tra questi due paesi e il mio. Non è stato facile, ho fatto diversi lavori per mantenermi agli studi, ho fatto tanti sacrifici fino a quando ho iniziato a lavorare come attore”. Il successo è arrivato con Valbuena, ci parli di questo personaggio? “Ho imparato tanto da questo personaggio. Valbuena non lo considero un vero cattivo, non l’ho giudicato, ho cercato di capirlo. Bisogna contestualizzare le vicende e la vita di Valbuena per poter capire la sua violenza e psiche. E’ un “cattivo” con la speranza di poter cambiare vita. E’ in qualche modo vittima del suo passato, fatto di abusi familiari. E’ stato un ruolo complesso, un personaggio con una personalità disturbata e debole. E’ un egocentrico che riflette sul male che provoca. Sono felice di averlo interpretato e di essere arrivato alla gente di diversa età. Sono cresciuto tantissimo con lui e soprattutto dopo aver visto la serie”. Come prepari i tuoi personaggi? “Mi muovo quasi come un detective in un’indagine. Ricostruisco con foto, immagini, video e mappe concettuali la psiche, il percorso e la vita dei miei personaggi. Ricopro le pareti del mio studio con appunti e tutto il materiale possibile per ricercare e dare un volto al mio ruolo”. Che rapporto hai con il tuo pubblico? “Il nostro lavoro è arrivare alla gente ed emozionare. Trasferire i sentimenti della vita, empatizzare con il pubblico. Il regalo piu’ grande che possiamo fare a loro è questo. Ricordo ancora una cosa incredibile che mi è successa. Un bimbo mi ha scritto per ringraziarmi della serie, di come lo avessi aiutato a distrarsi dalla sua malattia, a passare le giornate diversamente. Mi colpì molto ed emozionò. Gli scrissi ma purtroppo non ho mai ricevuto una risposta….non so che fine abbia fatto e se fosse uscito sano e salvo dall’ospedale”. A cosa stai lavorando ora? “Sono occupato sul set di Escobank, un film su Pablo Escobar. Girato in Guatemala ma ambientato ovviamente in Colombia. Una produzione molto interessante”. Inoltre ho lavorato anche ad un film horror". Harlys Becerra, un attore dalla personalità esuberante, simpatico con l’energia e i colori della sua Cuba, dall’aspetto imponente e sicuro ha dimostrato una grande “alma”, profonda umanità e rispetto per il suo lavoro e soprattutto per la vita che gli ha permesso di diventare un attore. Foto ufficiali Season FestivalTre giorni, il 16, 17 e 18 ottobre dedicati al Cinema per la Scuola. L’iniziativa nazionale promossa dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola, coordinata dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia in collaborazione con l’I.C. “Giuliana Saladino” di Palermo, si svolgerà per la prima volta a Palermo presso i Cantieri Culturali alla Zisa. Un programma denso di appuntamenti tra seminari, laboratori, masterclass e proiezioni, distribuiti nelle tre giornate. Ieri si è svolta l'anteprima, al Cinema De Seta, con la proiezione di “Diario di un maestro” in occasione dei cento anni di Vittorio De Seta e un incontro con Salvo Ficarra e Valentino Picone. Parallelamente alle Giornate si svolgerà l’iniziativa promossa da ANEC, AnecLAB Educational rivolta agli studenti delle scuole siciliane il 17 e 18 ottobre presso il Cityplex Tiffany, 12 laboratori tenuti dagli enti vincitori del Bando Progetti di Rilevanza Nazionale 2022 per la formazione di nuove professionalità e per le attività con le scuole dell’esercizio cinematografico. Il 16 ottobre, alle 15, presso il Cinema Vittorio De Seta si svolgerà la cerimonia di inaugurazione alla quale parteciperanno fra gli altri Lucia Borgonzoni, Sottosegretario di Stato al MIC, Francesco Giambrone, Presidente di AGIS, Piera Detassis, Presidente e Direttore artistico Accademia del Cinema Italiano-Premi David Donatello, Luigi Lonigro, Direttore 01 Distribution e Presidente Unione editori e distributori ANICA, e Mario Lorini Presidente ANEC, associazione degli esercenti cinematografici.
L’articolato programma delle tre giornate prevede 17 seminari e laboratori tenuti dai principali operatori del settore che hanno realizzato progetti nazionali e innovativi nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini fra i quali ACEC, ANEC, AGIS, Anica Academy, Cineteca di Bologna, Cinemovel, Fondazione Cineteca Italiana, Fondazione Golinelli, Fondazione Sistema Toscana, Fondazione Modena Arti Visive, Giffoni, Istituto Antonioni, Istituto Centrale Beni Sonori e Audiovisivi, Playtown, Università Milano Bicocca, Zalab; 2 laboratori di progettazione partecipata tenuti dai Ministeri: il primo dedicato agli operatori di educazione visiva a scuola per il progetto di formazione rivolto ai docenti e l’altro rivolto al personale scolastico in merito alle procedure contabili e amministrative per la gestione dei progetti realizzati nell’ambito dei bandi; e ancora, 3 masterclass con Giovanni De Luna, Stefano Laffi e Pasquale Scimeca e 5 proiezioni alle quali faranno seguito gli incontri con i registi: si inizia lunedì 16 ottobre con una proiezione riservata a 500 studenti del documentario “Il cerchio” Premio David Donatello 2023 con la regista Sophie Chiarello che racconterà il film dopo la proiezione e, nello stesso giorno, sarà proiettato “Comandante” e a seguire l’incontro con il regista Edoardo De Angelis. Entrambi gli incontri saranno moderati da Piera Detassis. Martedì 17 ottobre si entra nel cuore delle attività: sede dei laboratori educational per gli studenti è il Cityplex Tiffany di Palermo, con 4 attività al mattino dalle ore 9.00 organizzati da ACEC, Agis Lombardia, Agis Puglia e Basilicata e Anec Lazio. Il pomeriggio, dalle ore 14.30, le attività per gli studenti saranno tenute da Zalab, Cinemovel e Cineteca Italiana. Sempre martedì la proiezione de “L’ultima volta che siamo stati bambini” e a seguire l’incontro con Claudio Bisio. Mercoledì 18 ottobre la proiezione di “Io capitano” e a conclusione della proiezione l’incontro con Matteo Garrone e il cast del film. In programma quattro laboratori la mattina con i progetti nazionali di Playtown Roma, Giffoni, Fondazione Sistema Toscana e Cineteca di Bologna. Gli studenti coinvolti nelle tre giornate saranno circa 2.000, considerando anche l’attività in programma a Catania, martedì 17 al Cinestar con un nuovo incontro della regista Sophie Chiarello con gli studenti della città. Le attività si rivolgono a ragazzi e bambini di ogni ordine e grado di istruzione, creando una opportunità di interazione con le nuove generazioni in un contesto mai promosso in Italia. 11 progetti nazionali che si sviluppano e articolano in simultanea in uno stesso luogo consentendo al contempo ai docenti presenti a Palermo per le giornate di poter vivere le attività in prima persona. Il programma completo è disponibile al link www.giornatecinemascuola.it Mario De la Rosa conosciuto da tutti come Suarez, il poliziotto della famosa serie spagnola “ La casa de papel”, ha preso parte alla prima edizione del Season international series festival che si è tenuta in Salento alcuni giorni fa. Durante l’evento ha ricevuto il premio Season dedicato alla sezione Focus sulla Spagna. Il successo mondiale e incredibile della serie La casa di carta è ormai un fatto assodato e una conferma dell’alta qualità raggiunta dai prodotti iberici durante gli ultimi anni. Mario de La Rosa non è nuovo ai festival italiani e i suoi rapporti con il nostro Paese sono cresciuti anche a livello lavorativo. Scopriamo insieme le novità e le sorprese di un attore spagnolo molto professionale, elegante e simpatico, dalla forte presenza scenica e voce imponente che nonostante la popolarità conserva una grande umiltà e semplicità. Quanto è stato decisivo nel tuo percorso lavorativo il personaggio di Suarez? “A livello personale tantissimo, sono state 4 stagioni, per cui 4 anni di vita con questo personaggio. Sono cresciuto con lui durante tutto il periodo sul set. Ho imparato da ogni componente del cast tecnico e artistico. Ho avuto la fortuna di lavorare con attori di altissimo livello da cui ho potuto apprendere tanto e migliorarmi. E’ stato come un vero master, una full immersion in un mondo super professionale e stimolante. E’ stato un apprendimento costante. Suarez è stato un ruolo fisso per 4 anni, è come laurearsi con il tuo personaggio. A livello personale quindi posso dire di essere cresciuto, ma sul piano artistico meno. Mi spiego: dopo 4 anni un personaggio lo domini, sai prevedere ogni sua mossa, non lo devi indagare in profondità, cammina quasi da solo; soprattutto un ruolo come Suarez, che non ha avuto moltissime evoluzioni e trama complessa, non dà la possibilità di una grande crescita attoriale, ovviamente pero’ mi ha permesso di far parte di un cast di successo mondiale”. Com’è arrivata la popolarità da attore nella tua vita? “ In realtà io nasco come scrittore. Sin da piccolo ho sempre amato scrivere, avevo 15 anni e già mi dedicavo alle poesie, scrivevo canzoni , racconti e sceneggiature. Ho pubblicato 2 libri e ne ho uno in uscita. La vita attoriale è arrivata tardi a 39 anni, non è facile da adulto. Il successo di Suarez è stato inaspettato. Mi trovavo sul set di un film su Cristoforo Colombo, quando mi hanno chiamato per interpretare questo ruolo nella Casa de papel. Un personaggio piccolo ma che mi ha fatto conoscere e mi ha aperto le porte all’ industria cinematografica internazionale. Mi ha permesso di andare oltre il confine dell’anonimato e trovare la mia identita’ attoriale e spazio nel settore". Cosa pensi in generale delle serie spagnole? “Credo che il loro successo internazionale sia dovuto al loro realismo, si avvicinano alla vita della gente, alla varietà tematica e ai temi che toccano. Quando ho visto Vis a Vis, la prima serie spagnola di fama internazionale su Netflix, ho capito che c’era stato un click, che era cambiato qualcosa. Quando in questa serie ho sentito parlare due donne lesbiche , in maniera chiara, cruda e diretta di malattie sessuali trasmissibili, ho pensato che tutto ormai andava verso una nuova direzione. Credo che la produzione spagnola sia in movimento e goda di un buon momento". Ti piacerebbe lavorare in Italia? “In realtà vi rivelo che sono in uscita a dicembre due commedie natalizie girate in Italia. A luglio sono stato sul set di entrambi i film, uno ambientato Roma e l’altro in Trentino. Sono state 2 esperienze bellissime, ho conosciuto di più il vostro Paese. Un film s’intitola “Un Babbo natale per amico” di Volfango De Biasi. Per la prima volta ho recitato in italiano, ho dovuto studiare la sceneggiatura e interpretare nella vostra lingua. Tra le interpreti anche Ilaria Spada e Elisa D’ Eusanio con le quali ho lavorato a stretto contatto e le considero due attrici molto brave. Non posso dirvi ancora tanto…. L’altro l’ho girato al nord d’Italia, sulle dolomiti, una produzione internazionale in cui ho recitato invece in inglese”. In bocca al lupo a Mario per il suo prossimo debutto italiano... Foto ufficiali festivalSbarca in italia, alla prima edizione del Season international series festival, l’attrice spagnola Teresa Riott, meglio conosciuta come Nerea, una delle 4 protagoniste della serie di successo “Valeria” presente su Netflix con ben 3 stagioni. L’artista iberica per la prima volta ad un evento italiano, che si è tenuto in Salento, dedicato alle serie e al cinema, ha ricevuto per l’occasione il premio Season per la sezione Focus sulla Spagna. Ma chi è Teresa Riott, la “rubia” dall’aspetto un po’ algido, determinata e sicura che ha dato vita al complesso personaggio di Nerea? Per chi già conosce la serie “Valeria” sa benissimo che Nerea è una donna lesbica, avvocato, in lotta con una realta’ in cui non si sente accettata pienamente. Un personaggio molto attuale che rispecchia il disagio e le problematiche legate alla diversità e all’inclusione. Teresa puoi raccontarci la storia, il percorso e lo sviluppo di Nerea, In che modo ti sei preparata a questa parte tanto lontana dalla tua identità? Quanto devi a questo personaggio? “ Questo personaggio ha cambiato totalmente la mia vita e la mia carriera perchè è stato il mio primo ruolo da protagonista e grazie a Netflix ho avuto molto successo a livello internazionale. Con Nerea sono arrivata in diverse parti del mondo, mi ha fatto conoscere al grande pubblico. La gente ora mi riconosce per strada e le persone mi scrivono da diversi Paesi. Nerea mi ha aperto a livello lavorativo tantissime porte. Grazie a questo ruolo sono cresciuta molto sia come persona che come attrice. Mi è sembrato di fare un master, è stato un grande insegnamento. E’ stato un lungo percorso di apprendimento giornaliero. Tre stagioni, per cui 3 anni in cui io e Nerea siamo maturate insieme. Ci siamo preparate aiutandoci l’una con l’altra. Ho potuto approfondire me stessa tramite lei. E’ stato un viaggio io verso di lei e lei verso di me. All’inizio eravamo molto lontane, ovviamente, lei è una donna lesbica diversa dalla mia identità, poi però ci siamo avvicinate. Io imparo molto dai miei personaggi e viaggio con loro. Ho lavorato tantissimo su questo ruolo e non è stato un amore immediato, ma una volta stabilito un contatto profondo con Nerea non ci siamo più lasciate e ci siamo divertite.” Secondo te perché Valeria ha avuto tanto successo? “Il successo prima di tutto è dovuto al fatto che la serie è tratta da una saga di romanzi rosa di Elisabet Benavent che sono divenuti Best seller. Altri ingredienti importanti sono: le 4 donne protagoniste e le loro storie, sono le tematiche che toccano che hanno colpito il pubblico Dopo Sex in the city, “madre” di Valeria, abbiamo parlato, rispecchiando la realta’ europea spagnola, di argomenti reali, importanti, difficili e a volte scomodi in maniera fresca e leggera. La forza sta proprio nel trattare temi “caldi” e tabù sessuali femminili in forma semplice e spensierata. Inoltre ogni protagonista è diversa dall’altra, rispecchiando così caratteri e personalità differenti e questo ha permesso di piacere a un pubblico variegato”. Quanto è stato difficile per te interpretare il ruolo di una donna lesbica? Ci sono state scene particolarmente imbarazzanti, difficili, in cui hai provato imbarazzo? Come ti sei preparata alle sequenze piu’ “hot”? “Certo all’inizio è stato abbastanza imbarazzante e difficile recitare alcune scene piu’ piccanti e sensuali. Interpreto la parte di una lesbica e la sua sessualità, ben lontane dalla mia identità, per cui ho dovuto cambiare il mio punto di vista. In realtà se proprio devo dire la verità, mi imbarazzano di più le scene “calde” con gli uomini. Si può temere il giudizio, entri in un rapporto piu’ “reale”, più confidenziale; con le donne invece entri nel puro mondo della finzione, attoriale, in cui forse mi sono divertita di piu’. Passato il primo attimo di titubanza poi è andato tutto bene. Mi sono preparata al ruolo pensando a quello che più mi piace dare e ricevere nella mia sessualità da donna”. A cosa stai lavorando oggi? Cosa ci dici della serie “El inmortal” di cui sei anche protagonista? “Ho finito la seconda stagione de” El inmortal”, il mio personaggio è cresciuto moltissimo. Qui ho fatto un salto. Sono lontana dal mondo rosa e femminile di Valeria. E’ un thriller, siamo in un’ atmosfera più scura, cupa, di mistero. Sono una narcotrafficante e si parla di coca. Sono molto presa da questo lavoro. Il nuovo personaggio mi ha dato la possibilità, come quello di Valeria, di fare venire fuori i miei lati più nascosti e soprattutto di mettere in luce le mie capacita’ di rivestire ruoli differenti e lontanissimi da me”. Da lesbica a narcotrafficante Teresa Riott ci ha raccontato i viaggi all’intero dei suoi personaggi, facendo venir fuori un grande amore per il suo lavoro di attrice. Foto ufficiali Season international series tv |
AutoreCarlotta Bonadonna Archivi
Gennaio 2024
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